Lo confesso, sono un grande fan degli
Elio e le storie tese. Li seguo da diversi anni e sono perfino riusciti a farmi vivere con trepidazione la finale del Festival di Sanremo. Così, mentre
La canzone mononota impazzava in rete e mi entrava in testa, mi sono detto: perché non provare a farne una piccola analisi, magari adottando uno sguardo - e un ascolto - semiotico? Ecco quello che ne è venuto fuori.
Gli effetti cognitivi, passionali e pragmatici
Dal punto di vista strettamente musicale, la canzone si rivela incredibilmente complessa e assolutamente non lineare. Le mie conoscenze musicali non mi permettono di entrare nel merito della sua struttura, ma forse vale la pena notare una cosa. L’ascoltatore medio, pur non riuscendo ad apprezzare fino in fondo la difficoltà di composizione ed esecuzione di un pezzo del genere, si trova, suo malgrado, coinvolto in una specie di gioco nel quale è invitato ad
avanzare ipotesi - spesso disattese - su come proseguirà il pezzo. Se la struttura classica della canzone pop (strofa - ponte - ritornello) lo rassicura con il suo - eterno - ritorno,
La canzone mononota gli fa vivere il
brivido dell’ignoto: dopo ogni passaggio lo lascia sospeso tra una serie di possibilità. Questa impossibilità previsionale ha il suo culmine nel falso finale. Dopo due minuti lo spettatore, ormai provato dal tentativo di mantenere il "filo del discorso", è pronto a cadere nel piccolo tranello. A questo punto il coinvolgimento
da
cognitivo ed emotivo, diventa
pragmatico: il pubblico al primo ascolto (ma non solo) è portato ad applaudire. Con il loro batter le mani gli astanti non solo sanzionano positivamente la performance ma ne divengono inconsapevolmente parte integrante.
La metareferenzialità
La canzone, in quanto oggetto sincretico, chiama in causa più linguaggi espressivi: una componente sonora (la musica) e una verbale (il testo). Questa distinzione - per certi versi banale - ci permette di cogliere meglio una caratteristica essenziale di questo pezzo: si tratta di una
metacanzone, ossia di una canzone nella quale si "parla" di come è fatta una canzone. Per capirci, è un po' come un film nel quale ci viene mostrato come viene girato un film. Elio, attraverso la componente verbale, ci spiega come è possibile rendere non monotona una canzone mononota chiamando in causa l'altezza, il tempo, il ritmo, gli accordi ecc. e anticipa sistematicamente (anche se in modo generico) quello che sarà l’evolversi della canzone sul piano della componente sonora.
L'intertestualità
Chi conosce gli Eelst, sa che le loro canzoni sono piene di
rimandi, citazioni e
frame musicali presi a prestito da altre opere più o meno note e più o meno colte. Tutto ciò che viene preso dagli Elii finisce per essere manipolato e risemantizzato, quasi sempre a fini stranianti o parodistici. In questo caso troviamo riferimenti espliciti a fatti realmente accaduti come i tentativi di Rossini e Jobim di comporre una canzone con una nota sola (a tal proposito vi rimando a un bel
video di Cesare Picco); oppure l’inserimento di frammenti tratti da altri generi (il samba) o opere musicali (l’inno cubano) che rendono la loro canzone una sorta di patchwork musicale, attraverso il quale mettere in mostra le loro grandi doti di musicisti e arrangiatori.
La dimensione ironica
Una canzone di questo genere potrebbe sembrare uno splendido, ma sterile,
esercizio di stile. Se però si prende in considerazione il contesto in cui è stata proposta, allora le cose cambiano. Si dice spesso che il Festival sia una kermesse durante la quale si ascolta e si premia "sempre la stessa musica". Ecco che, in questo contesto,
La canzone mononota suona come una parodia dell’intero evento e delle dinamiche che lo contraddistinguono. Una
presa in giro di compositori, cantautori, e big che in questi anni hanno partecipato a Sanremo con brani spesso banali o “già sentiti”. Insomma, a fronte di tante canzoni articolate ma monotone, eccone una mononota incredibilmente originale.
Le strategie enunciative
Infine un cenno sulle strategie di enunciazione, cioè sul modo in cui è stata eseguita la canzone. Tutte le esibizioni degli Eelst sono caratterizzate da una spiccata
dimensione teatrale. In questo caso l'effetto ironico e dissacrante del loro brano è stato rafforzato dai
travestimenti che, oltre a divertire per la loro eccentricità, arricchiscono il senso delle loro performance. Ad esempio, la trovata della fronte alta rimanda fisiognomicamente all’idea di intelligenza superiore; intelligenza di cui ironicamente si vantano. L’idea di travestirsi da grassoni, invece, oltre a richiamare la
mise dei grandi tenori, sembra essere un riferimento ai tanti palloni gonfiati che negli anni hanno calcato il palco di Sanremo.