martedì 22 novembre 2016

Non c'è più trip per gatti

Un anno, otto mesi, tre giorni. Tanto è passato dall’ultimo post che ho pubblicato qui su. Ne sono successe di cose, ma non ha molto senso parlarne: dopotutto questo blog non è un diario, non lo è mai stato e non è il caso che lo diventi proprio ora, che sto tentando di decretarne la chiusura.

Come è evidente dal tenore di gran parte delle cose che ho scritto, è nato per gioco, tra una lezione ad Azzo Gardino e un aperitivo in via Zamboni. Inaspettatamente è durato un bel po’, ospitando riflessioni semiserie, analisi piuttosto rigorose, curiosità da semionerd. Ne è venuto fuori un mappazzone che, stando alle statistiche, stuzzica ancora l’appetito di chi mastica un po’ di semiotica. Per questo lascerò tutto com’è: scanzonato, ai più incomprensibile, a volte autoreferenziale, ma pur sempre a portata di clic.

Al momento, letture di altro genere ispirano il mio lavoro e i miei trip. Ma Eco, Greimas, Lotman, Floch, Barthes sono sempre lì che puntellano la mia libreria e il mio modo di pensare. Io ne sono fiero e le persone attorno a me sembrano apprezzare. Dunque, a te che stai leggendo, sì, proprio tu che sei alle prese con attanti, rizomi e isotopie: tieni duro, goditela se puoi e, comunque vada, occhio ai segni.

giovedì 19 marzo 2015

L'anno che verrà è già passato

Mi sono ripromesso di scrivere questo post decine di volte. E se ho tergiversato tanto, è perché non riuscivo a trovare il giusto incipit. Come succede quando si incontra un vecchio amico con cui non ci si vede da un po' e si prova del sano e colpevole imbarazzo per non essersi fatti sentire, così tornando su queste pagine stentavo a trovare il modo di riprendere il filo del discorso. Dopo mesi di assenza e silenzio ero alla ricerca delle parole giuste per rompere il ghiaccio e iniziare a raccontare ciò che sto per scrivere.

Innanzitutto, la laurea. C'è stata, e ho avuto la fortuna di viverla con chi mi vuole bene e con chi me ne ha voluto. A me sembra passata una vita, ma è stato solo l'anno scorso. Esattamente un anno fa. Faceva caldo e sudavo sia per l’afa che per la classica strizza pre-esame (di laurea). Ricordo i nervosi scambi di battute con gli altri laureandi; mio padre che decide di andare a prendere un caffè l’attimo prima che mi chiamino a discutere; lo scatto da centometrista di mia sorella che corre ad avvertirlo; il mio affanno per riuscire a esporre il lavoro nei dieci minuti previsti; la proclamazione con annesso applauso della claque, anche se espressamente vietato. Dopodiché foto, brindisi, dolci, abbracci, brindisi, coriandoli, telefonate, brindisi. E naturalmente, una serie di brindisi. Ecco, da questo momento i ricordi si fanno più confusi. E non parlo della sbronza e degli immediati postumi, ma di tutto quello che ho vissuto in questo anno in cui ho goduto dello status di neolaureato.

Devo essere sincero: le cose si sono messe subito piuttosto bene. Già prima della discussione, sapevo che di lì a poco avrei fatto il grande salto: dai banchi dell’università alla scrivania di un ufficio. E infatti, appena quattro giorni dopo l’ultimo cin cin, ero a Milano per iniziare un tirocinio retribuito in un’importante agenzia di comunicazione. Mi sarei occupato di scrittura professionale e per il web: figata. Le aspettative erano alte, il lavoro incalzante, le cose da imparare innumerevoli, i luoghi e i volti non sempre sereni. A conti fatti, sono stati i cinque mesi più intensi della mia vita. Ma non i più felici. Routine, pressioni, ingenuità, errori, episodi spiacevoli hanno lentamente intaccato il mio entusiasmo e, di fatto, influenzato il mio rendimento. Morale: terminato lo stage, sono rientrato a Napoli per ritagliarmi quel breve, ma meritato, periodo di riposo che - vivaddio - non avevo potuto prendermi dopo la laurea.

L'idea, comunque, era tornare a Bologna, e con un po' di fortuna, verso la fine di settembre mi sono ritrovato nella stessa casa in cui avevo vissuto da studente. Per prima cosa, ho rimesso su la mia piccola libreria semiotica. E mentre sistemavo libri, dispense e appunti sugli scaffali stranamente vuoti, ho realizzato che forse, prima di guardarmi intorno, avrei fatto bene a dare un’occhiata a ciò che aveva - ancora - da offrire l’università. Così mi sono messo a spulciare tra i bandi per collaborazioni didattiche riservati a laureati magistrali, e tra le decine per cui non avevo i titoli giusti o le esperienze necessarie, ne ho trovati alcuni che riguardavano dei corsi di comprensione e produzione testuale destinati a ragazzi del primo anno della Facoltà, pardon la Scuola di Lettere. In altre parole, si trattava di tenere dei piccoli laboratori di lettura e scrittura per matricole. Perché no, mi sono detto. Obiettivamente, sono uscito con le ossa rotte dall’esperienza milanese, ma è innegabile che me le sia anche fatte. Risultato: ho ottenuto un contrattino come tutor didattico, tuttora in essere. Ma soprattutto, ora dopo ora, lezione dopo lezione, mi sono scoperto molto più felice in piedi davanti a una cattedra che seduto dietro a una scrivania. E poco importa se dovrò tornare tra i banchi di "scuola" per poter coscienziosamente intraprendere una professione educativa: in fin dei conti, studiare è sempre stato il mio lavoro preferito.

mercoledì 25 dicembre 2013

Almeno oggi, niente #robadasemiotici!

Tanti auguri di un felice e sereno Natale. Che possiate congiungervi con tutti i vostri oggetti di valore... ops.

giovedì 28 novembre 2013

Del masochismo grafico (e comunicativo) del PD

L'altra sera, mentre tornavo a casa in quel di Bologna, ho visto sul parabrezza di un'auto questo volantino (che ho fotografato, perché in rete non ne ho trovato traccia):


È una brochure elettorale per le imminenti primarie del PD. C'è il solito faccione photoshoppato e un giochino di parole con il cognome del candidato che, sulle prime, potrebbe - dico potrebbe - anche risultare originale e interessante. Peccato che nella stessa campagna già Civati ha ampiamente utilizzato questo escamotage, modificando il suo cognome a seconda dei contesti e degli obiettivi: il suo blog, ad esempio, si chiama 'ciwati', mentre su Twitter ha lanciato l'hashtag 'civoti'.

Detto questo, però, al di là della scarsa originalità, c'è qualcosa che mi turba. Indugio ancora un attimo sulla parte testuale e come accade con le illusioni ottiche della Gestalt, a un tratto lo sfondo diventa figura e viceversa. Il 'per' passa per un momento in secondo piano e a saltare all'occhio sono le lettere rimanenti: c - u - l -o. Si, hai letto bene!

Dunque, non solo la trovata grafica fa si che l'(e)lettore focalizzi la sua attenzione sul cognome del candidato (senza dubbio particolare, tanto che Crozza ci ha già ironizzato su), ma lo fa offrendo il fianco a nuovi sfottò. Già me lo vedo un tizio infreddolito che, staccando il volantino dal parabrezza congelato, pensa tra sé e sé: "Guarda che bella faccia da cuperlo!"

martedì 19 novembre 2013

Prima lezione di... semiotica!

A tutti quelli che si chiedono che cos'è la semiotica, consiglio di dare uno sguardo al video qui sotto. È stato realizzato dall'Università di Catania nell'ambito della (bella) iniziativa "Prima lezione di...", che vede professori dell'Ateneo tenere delle lezioni introduttive su alcune discipline universitarie a dei ragazzi delle superiori. In questo caso, il prof. Sebastiano Vecchio illustra le prime nozioni di semiotica a partire da un approccio storico-filosofico. Buona visione!