Innanzitutto, la laurea. C'è stata, e ho avuto
la fortuna di viverla con chi mi vuole bene e con chi me ne ha voluto. A me
sembra passata una vita, ma è stato solo l'anno scorso. Esattamente un anno fa.
Faceva caldo e sudavo sia per l’afa che per la classica strizza pre-esame (di
laurea). Ricordo i nervosi scambi di battute con gli altri laureandi; mio padre
che decide di andare a prendere un caffè l’attimo prima che mi chiamino a
discutere; lo scatto da centometrista di mia sorella che corre ad avvertirlo;
il mio affanno per riuscire a esporre il lavoro nei dieci minuti previsti; la
proclamazione con annesso applauso della claque, anche se espressamente
vietato. Dopodiché foto, brindisi, dolci, abbracci, brindisi, coriandoli,
telefonate, brindisi. E naturalmente, una serie di brindisi. Ecco, da questo momento
i ricordi si fanno più confusi. E non parlo della sbronza e degli immediati
postumi, ma di tutto quello che ho vissuto in questo anno in cui ho goduto
dello status di neolaureato.
Devo essere sincero: le cose si sono messe
subito piuttosto bene. Già prima della discussione, sapevo che di lì a poco
avrei fatto il grande salto: dai banchi dell’università alla scrivania di un ufficio.
E infatti, appena quattro giorni dopo l’ultimo cin cin, ero a Milano per
iniziare un tirocinio retribuito in un’importante agenzia di comunicazione. Mi
sarei occupato di scrittura professionale e per il web: figata. Le aspettative
erano alte, il lavoro incalzante, le cose da imparare innumerevoli, i luoghi e i
volti non sempre sereni. A conti fatti, sono stati i cinque mesi più intensi
della mia vita. Ma non i più felici. Routine, pressioni, ingenuità, errori,
episodi spiacevoli hanno lentamente intaccato il mio entusiasmo e, di fatto,
influenzato il mio rendimento. Morale: terminato lo stage, sono rientrato a
Napoli per ritagliarmi quel breve, ma meritato, periodo di riposo che -
vivaddio - non avevo potuto prendermi dopo la laurea.
L'idea, comunque, era tornare a Bologna, e con
un po' di fortuna, verso la fine di settembre mi sono ritrovato nella stessa
casa in cui avevo vissuto da studente. Per prima cosa, ho rimesso su la mia
piccola libreria semiotica. E mentre sistemavo libri, dispense e appunti sugli
scaffali stranamente vuoti, ho realizzato che forse, prima di guardarmi
intorno, avrei fatto bene a dare un’occhiata a ciò che aveva - ancora - da
offrire l’università. Così mi sono messo a spulciare tra i bandi per
collaborazioni didattiche riservati a laureati magistrali, e tra le decine per
cui non avevo i titoli giusti o le esperienze necessarie, ne ho trovati alcuni
che riguardavano dei corsi di comprensione e produzione testuale destinati a
ragazzi del primo anno della Facoltà, pardon la Scuola di Lettere. In altre parole,
si trattava di tenere dei piccoli laboratori di lettura e scrittura per
matricole. Perché no, mi sono detto. Obiettivamente, sono uscito con le ossa
rotte dall’esperienza milanese, ma è innegabile che me le sia anche fatte.
Risultato: ho ottenuto un contrattino come tutor didattico, tuttora in essere.
Ma soprattutto, ora dopo ora, lezione dopo lezione, mi sono scoperto molto più felice
in piedi davanti a una cattedra che seduto dietro a una scrivania. E poco
importa se dovrò tornare tra i banchi di "scuola" per poter
coscienziosamente intraprendere una professione educativa: in fin dei conti,
studiare è sempre stato il mio lavoro preferito.